La paura: viaggio attraverso l'emozione più comune
I bambini vengono abitati da paure varie e frequenti lungo l’arco della crescita. Alcune di esse sono dette “fisiologiche per l’età”; altre prendono piede a seguito di esperienze particolari
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I bambini vengono abitati da paure varie e frequenti lungo l’arco della crescita. Alcune di esse sono dette “fisiologiche per l’età”; altre prendono piede a seguito di esperienze particolari; altre ancora rinforzate, paradossalmente, dal comportamento degli adulti impegnati a dissiparle; altre, diversamente, prendono forma a seguito di traumi.
Il nostro comportamento di genitori, le nostre reazioni alle loro paure, possono condizionare profondamente i bambini, l’intensità e il decorso delle loro paure. Coccolarli eccessivamente, assecondando esageratamente le loro reazioni, potrebbero passare il messaggio che tutte le loro remore abbiano dei fondamenti, in parole semplici “figlio mio hai tutte le ragioni di questo mondo ad avere paura…”, diversamente minimizzare la situazione, banalizzando il loro malessere, potrebbe far passare il messaggio che avere paura sia sbagliato, che chi prova paura sia debole.
Mi sembra appropriato partire dal postulato che la paura è un’emozione necessaria e naturale per attivare la reazione di “fuga” in caso di pericolo, una risposta chimica necessaria per la nostra sopravvivenza. Alla luce di questo, le paure dei bambini, almeno la maggior parte, derivano dalla loro innata propensione all’esplorazione della realtà, per loro ancora ignota, fonte di comprensibili timori.
Esistono diversi tipi di paure:
- A pochi mesi di vita, legate ai cambiamenti o ai forti rumori: il bambino affina giorno dopo giorno i suoi cinque sensi e molti rumori che alla nascita arrivavano ovattati, ad un certo punto travolgono il bimbo, entrando in contrasto con la sua appena trascorsa esperienza intrauterina di serenità e pace sonora;
- Intorno ai 9 mesi, la paura dell’estraneo: in contrapposizione con l’acquisizione sempre maggiore della familiarità delle figure genitoriali;
- Dal primo anno d'età fino ai tre circa, la paura della separazione dal genitore la vivono soprattutto a seguito del loro inserimento all’asilo nido o alla scuola dell’infanzia, sovente espressa con vigorosi pianti;
- Dai 3 ai 5 anni circa, prendono forma le paure per i mostri, le streghe, i temporali, e quella tipica del buio: il pensiero animistico caratteristico di questa fascia d’età porta il bambino ad animare qualsiasi cosa, oggetto, pensiero. Per questo lupi, mostri, streghe prendono vita nella vita interiore del piccolo e persino il buio che li nasconde. Mamma e papà dovrebbero entrare nel mondo del figlio, accogliere le paure, capirle per aiutarlo ad esorcizzarle, ritrovando sicurezza e serenità. Il racconto di fiabe o la drammatizzazione delle stesse può rappresentare uno strumento efficace per “impersonare il mostro o la strega” e gestirne la paura attraverso il controllo del personaggio e delle sue azioni, magari trasformandolo in “amico” o in soggetto simpatico e innocuo;
- Successivamente, fino ai 12 anni circa, le paure legate alla propria sicurezza: paura dei ladri, dei criminali, delle malattie, della morte...
- In adolescenza, le paure si concentrano soprattutto sui cambiamenti fisici, sulla propria immagine, sul giudizio dei coetanei.
Diverse da queste, sono le paure derivanti da eventi traumatici: ospedalizzazioni, rischio d’annegamento, maltrattamenti…che sono consigliabili gestire con il supporto di uno specialista.
Sono pervenuti in studio davvero tanti bambini e ragazzi afflitti dalle più svariate paure: bambini che, a seguito di lutti in famiglia, hanno sviluppato una paura profonda verso la morte, espressa con disegni ricorrenti di bare, incubi notturni e tristezza generalizzata; altri con ansia da prestazione e paura di sbagliare, altri ancora con paure per gli insetti o per l’acqua…
Tuttavia scelgo di portare come esempio di paura a seguito di un trauma, un’esperienza che ho vissuto personalmente come mamma, con il mio secondogenito che, all’epoca aveva soli quattro anni.
Da poco avevamo installato un impianto d’allarme con chiusura automatica delle tapparelle blindate. Un pomeriggio, il papà di Manuel, prima di andare in doccia, mette un cartone animato al bimbo per intrattenerlo. Manuel, stanco della proiezione, decide di uscire in giardino, senza sapere che il padre aveva attivato l’allarme. Appena apre la porta finestra, si attivano le sirene, chiudendosi le tapparelle e lasciandolo solo all’esterno, Manuel dopo aver chiamato il padre più volte, inizia a piangere a dirotto. Una vicina di casa, a passeggio con il suo cane pastore tedesco, attirata dal pianto del bimbo e con l’intenzione di soccorrerlo, lo chiama aiutandolo a scavalcare il cancello per prenderlo in braccio. Il cane, probabilmente ingelosito, aggredisce Manuel, ferendolo al viso. La vicina di casa, sconvolta, porta velocemente il bambino dal padre, spiegando l’accaduto. Il bambino viene portato immediatamente al pronto soccorso per la sutura. Dopo 10 ore in ospedale (per visite varie: il bambino era spaventatissimo, respirava male e aveva i battiti accelerati), a mezzanotte circa, il papà riporta Manuel a casa, sfinito e addormentato tra le sue braccia. Il giorno dopo sembrava tutto tranquillo, il bambino mi racconta l’accaduto, a suo modo. Ma dopo qualche giorno iniziano i problemi: non accetta di staccarsi dalla figura adulta di riferimento, per nessuna ragione, né a casa, né alla scuola dell’infanzia. A casa elabora una sorta di meccanismo di “autocontrollo”: non si addormenta se non dopo aver verificato che tutte le porte e finestre sono chiuse, l’allarme inserito, inizia a chiedere la lucina notturna e la mia presenza in cameretta per l’addormentamento. Nessuno può allontanarsi da lui, neanche per andare in bagno o in box o semplicemente cambiare stanza. Le insegnanti della scuola ci convocano per innumerevoli colloqui, preoccupate.
Ho iniziato a dedicargli del tempo “speciale”, raccontandogli delle psicofiabe ad hoc per infondere sicurezza, con la finalità di esorcizzare la sua evidente paura di essere “abbandonato”. Inizialmente ho assecondato il suo bisogno di controllo, ho procurato una lucina notturna e sostavo in cameretta fino al suo addormentamento, ma più assecondavo il suo bisogno, più le richieste si facevano maggiormente complesse (non bastava più rimanere per un po' in cameretta con lui, voleva che dormissi tutto il tempo al suo fianco e il controllo delle porte e finestre era diventato più lungo e particolareggiato) così ho iniziato, gradualmente, a sostituirmi a lui nel “bisogno di controllo”, ricordo che inizialmente facevamo il giro della casa insieme, io lo osservavo paziente, senza mortificarlo, semplicemente mostrandogli che ero interessata a capire, ad accogliere il suo disagio. Piano, piano mi ha permesso di controllare al suo posto. Il rinforzo doveva ricreare fiducia nei confronti dell’adulto. Successivamente temporizzavo i brevissimi momenti di distacco, anche solo per andare in bagno, lui contava fino a 10 ed io, prontamente, ritornavo da lui puntuale. Ci sono voluti mesi, inizialmente con piccoli progressi e alla fine con la riconquista della piena serenità e sicurezza.
COME AIUTARE I NOSTRI FIGLI
Come già accennato, le paure non vanno minimizzate e il bambino non deve sentirsi giudicato, bensì accolto e ascoltato nel suo disagio, seppur transitorio e naturale. Aiutare i bambini ad esprimere le paure e i vissuti ad esse legate riducono le eventuali tensioni e ingigantimenti. Il bambino non deve sentirsi solo, insieme ad un adulto tutto è più facile e rassicurante. Le fiabe, il gioco e il disegno rappresentano degli alleati preziosi nella lotta contro la paura, ambiti ideali per riversare vissuti emotivi ingombranti e trovare strategie funzionali per il loro superamento o gestione. Ogni bambino è unico, diverso e originale così come i tempi di elaborazione e maturazione, quindi evitiamo di fare paragoni frustranti con fratelli, sorelle o altri bambini. Eludiamo critiche che danneggino la sua autostima facendolo sentire “fifone” o sbagliato. Le paure, in modo naturale, dovranno ridursi fino a scomparire con tempi, chiaramente, soggettivi. Naturalmente se questo non dovesse succedere o se notassimo “dei peggioramenti”, ricorrere ad uno specialista, anche solo per una consulenza, potrebbe essere di supporto e tranquillizzarci sul da fare.
Ricordiamoci che siamo dei riferimenti importanti per i nostri figli, quindi, le nostre angosce e preoccupazioni potrebbero destabilizzarli. Vivere con un genitore costantemente preoccupato e afflitto trasmette loro l’idea di una realtà troppo pericolosa e incontrollabile che non può che peggiorare la situazione di disagio e paura.
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