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La passione di Manuel

Manuel ha quasi quindici anni e pratica lo sport della pallacanestro da quando ne aveva appena cinque e mezzo. Ben nove anni di frequentazione assidua di quella che nel tempo è diventata la sua passione più grande

La passione di Manuel

11 minuti

Manuel ha quasi quindici anni e pratica lo sport della pallacanestro da quando ne aveva appena cinque e mezzo. Ben nove anni di frequentazione assidua di quella che nel tempo è diventata la sua passione più grande, tutto, nella sua vita, verte attorno a questo sport: le sue letture, i video su YouTube, le partite dell’NBA su Sky, le ricerche scolastiche, i temi liberi d’italiano, la tesina di terza media, persino il suo abbigliamento. Insomma per lui non esiste aspetto più stimolante di questo. La sua settimana si compone di tre allenamenti intensivi e partita di campionato (o torneo) al fine settimana. Su sette giorni, quindi, quattro sono occupati da questi appuntamenti, diciamo così, “ufficiali”, mentre i rimanenti tre li dedica…voi penserete a studiare, ad uscire con gli amici? Ebbene no, ancora a giocare a basket, ma in modo, per così dire, “informale” con amici e compagni del parchetto vicino casa, rigorosamente attrezzato con canestri e campo. Le vacanze estive devono prevedere, come variabile indispensabile, la vicinanza a campetti con canestri, direi che la passione, attualmente, potrebbe avvicinarsi quasi ad “un’ossessione”. Scherzi a parte, la gioia che lo abita, mentre gioca, è indescrivibile, la motivazione è tale che la fatica, gli infortuni e i lividi collezionati durante allenamenti e partite sono sopportati in modo esemplare, quasi eroico; cosa che non succede per i lievi mal di testa causati dalle mezzorette di studio scolastico che lo disabilitano completamente, costringendolo a interrompere con pause frequenti. Anche lui è immerso nel vortice adolescenziale che vive con chiusure comunicative e forti opposizioni nei confronti dell’autorità adulta in generale, in modo predominante, comunque, nei confronti dei genitori. Come sappiamo l’adolescenza è caratterizzata da conflitti, altalene dell’umore, opposizioni anche forti con mamma, papà e professori: un malumore che porta Manuel a ridere poco, a non ascoltare, a non vivere in modo partecipativo le esperienze della vita. Solo durante il gioco della pallacanestro fiorisce in tutta la sua “spontanea attrattiva”, sfoggiando sorrisi compiaciuti legati alla profonda complicità che caratterizza il rapporto con i compagni, felicità vera per le vittorie e i successi condivisi con tutta la squadra. Proprio quest’anno hanno vinto il Campionato, con entusiasmo ed euforia generale: prima classificata la sua squadra (Airoldi di Origgio) Pallacanestro UISP Milano 2023/2024 Under 15 maschile Silver.

Squadra basket

Manuel che gioca a basket

Manuel che gioca a basket

Trofeo di basket

COMPLIMENTI MANUEL! Continua a vivere la tua grande passione sportiva! I tuoi grossi problemi di ipermetropia dovevano essere un ostacolo nella pratica di molti sport che presupponevano precisione di tiri (proprio come tennis e basket) ma tu hai dimostrato a tutti gli specialisti che ti hanno sconsigliato di praticare la pallacanestro, che quando si vuole davvero qualcosa tutto è possibile! La passione è motivazione ed ha il magico potere di rendere possibile l’impossibile.

 

ASPETTI FORMATIVI

Tratto dal mio libro “Sport di squadra e potenziale formativo”, Milano 2019, pp 64-74.

Ogni esperienza formativa è definibile tale se coinvolge tutte e cinque le dimensioni costitutive della persona, senza trascurarne nessuna: dimensione razionale-cognitiva, dimensione emotiva, dimensione sociale, dimensione morale e dimensione fisica (corpo).

DIMENSIONE FISICA

Per definizione lo sport è movimento, se così non fosse si parlerebbe di altro, di gioco fine a sé stesso, probabilmente, nel quale la fantasia dominerebbe a discapito persino di un investimento cognitivo, quello che succede un po' nell’epoca attuale dei videogiochi, playstation e similari che presuppongono il paradosso dell’illusione del movimento e dell’attività rimanendo fermi d’avanti allo schermo. Si combatte, si corre con auto sportive, ci si avventura in contesti fantastici e inverosimili, ma il solo movimento esercitato è quello dei pollici, frequentemente ne consegue sindrome del tunnel carpale. 

Le abilità motorie maturano e si sviluppano diversamente nelle diverse tappe di crescita, all’inizio le capacità di coordinamento sono quelle più importanti e si sviluppano attraverso il controllo del corpo in movimento, acquisendo il freinage, l’equilibrio statico perdurato e dinamico, la concezione ritmica e quella di orientamento e di lateralità. Tra i sei e i dieci anni è il periodo migliore per metterle a punto, soprattutto perché il corpo del bambino cresce in modo piuttosto regolare, senza improvvise trasformazioni fisiche (come invece succede in età adolescenziale). Dalla preadolescenza inizia una sempre maggiore consapevolezza del proprio corpo rispetto allo spazio e al movimento che comporta maggior controllo, padronanza e accettazione di sé, sviluppo fisico e potenziamento muscolare. In epoca adolescenziale, le trasformazioni e i cambiamenti fisici determinano particolare tensione che spesso si esprime attraverso l’aumento d’impulsi sessuali che, grazie alla pratica sportiva possono essere metabolizzati e controllati in misura maggiore attraverso lo scarico tensionale implicito nel movimento agonistico. Praticare uno sport è anche l’antidoto per eccellenza contro ogni pericolo legato alla sedentarietà e a cattive abitudini alimentari.

DIMENSIONE EMOTIVA

Lo sport tocca testa, pancia, cuore in un connubio così intrecciato che risulta impossibile scindere le emozioni dal movimento e ancor meno dai pensieri che popolano la mente di uno sportivo. La gioia della vittoria, la soddisfazione di far parte della squadra, la tristezza della sconfitta, il senso di rivalsa, la preoccupazione poco prima della partita, il timore di non essere all’altezza, la rabbia verso presunte ingiustizie, l’emozione condivisa a fine campionato… Eppure quando si “gioca”, il controllo delle emozioni si fa impellente per non lasciarsi travolgere e bloccare nella corsa verso quella che potrebbe essere una grande vittoria. Un’adeguata espressione motoria permette lo scarico delle emozioni, in termini d’intensità, evitando che questa energia emotiva rimanga bloccata nel ragazzo con il rischio che si ritorca contro di lui.

DIMENSIONE PSICO-COGNITIVA

Lo sport è senz’altro apprendimento, non solo relativamente alle regole e modalità tecniche dello sport scelto, ma apprendimento prezioso delle dinamiche relazionali, apprendimento e conoscenza di sé stessi attraverso il confronto con l’altro. E nella sempre più profonda conoscenza di sé attraverso il movimento e lo sport, aumenta la capacità di relazionarsi in modo positivo e sano con il proprio corpo, s’impara a rispettarlo e a prendersene cura. Nella relazione con l’altro, invece, la presenza dell’avversario si fa preziosa e insostituibile, in quanto consente ai ragazzi/bambini di misurarsi, di verificare il proprio valore e sperimentare di volta in volta limiti e progressi. Quello che ricercano i ragazzi nello sport non è tanto la sconfitta dell’avversario, piuttosto conseguire un sempre più elevato livello di ammirazione personale e di squadra, alcune volte attraverso la sconfitta dell’antagonista, ma spesso anche solo giocando bene, nella consapevolezza di aver dato il massimo come atleta e come squadra. Tutto questo favorisce la crescita della propria autostima, la sconfitta dell’avversario diventa “un effetto secondario, desiderabile”. L’avversario è colui che permette il paragone, il confronto e che, quindi, favorisce il costruire di “chi sono io e quale valore sportivo ho raggiunto”. Questo è uno dei motivi per i quali al termine della partita lo si “ringrazia”, attraverso il consueto “saluto”. Un modo come un altro per esprimere riconoscenza di aver contribuito a far emergere lati forti, ma anche debolezze sulle quali continuare a lavorare e allenarsi. Riconoscendo meriti propri, ma anche altrui. In sintesi “saper perdere” e “saper vincere” nel senso più sportivo possibile.

Allo stesso tempo nella mente di ogni atleta risuonano domande relative il proprio valore: “Ma sarò in grado di…? Fino a dove posso arrivare? Quanto sono bravo realmente?...” che cercano risposta.

Molti sono i pensieri che affollano la mente dei nostri ragazzi sportivi e il coraggio e la determinazione nel provare agli altri, ma in primis a sé stessi di “potercela fare” è ciò che li temprerà nelle scelte future.

DIMENSIONE SOCIALE

Lo sport di squadra è per eccellenza l’esperienza più ricca dal punto di vista delle dinamiche relazionali che lo regolano. Sono tantissime le relazioni in gioco: con i propri compagni di squadra, con l’allenatore, con gli avversari che di volta in volta s’incontrano nelle partite di campionato, con i propri genitori, parenti e amici e perfino con sé stessi. Lo scenario sociale, quindi, si prospetta davvero ricco e complesso. E per la parte intergenerazionale abbiamo già affondato il fendente a sufficienza per capire quanto ci sia di inconscio nella relazione e nelle modalità comunicative che utilizziamo con i nostri figli e che ricordo, secondo un’indagine statistica di esperti di comunicazione (Paolo Alto) che innanzitutto non è possibile non comunicare e che la comunicazione verbale, quindi quello che di fatto diciamo a parole ricopre solamente il 7% dell’intera comunicazione che, quindi, per il ben 93% resta tutta legata al non verbale (sguardi, espressioni del viso e del corpo, movimenti anche involontari, prossemica, cinetica, spazi interpersonali, silenzi e quant’altro).

E’ chiaro, a questo punto che se a casa facciamo bei discorsi sul rispetto, sull’importanza di ascoltare le indicazioni del mister che, l’importante è che nostro figlio si diverta e diventi autonomo… e poi arrivati in partita urliamo come forsennati su come nostro figlio deve giocare, insulti all’arbitro, sguardi di disapprovazione verso le scelte tecniche dell’allenatore (…) il bel discorso oltre a diventare nullo, attiva nei nostri figli una sorta di sfiducia che danneggia la nostra credibilità in qualità di genitori, un proverbio che calza a pennello al riguardo  e che traduce sinteticamente quello che penserebbero i nostri ragazzi “…Predica bene, ma razzola male…”.

Non è facile neanche inserirsi positivamente e in modo funzionale nelle relazioni con gli altri compagni di squadra. Le variabili da tenere in considerazioni sono svariate e complesse. I new entry, per la maggiore, sono i soggetti che faticano di più ad integrarsi in una squadra già sufficientemente coesa, sentono continuamente la pressione di dimostrare di essere all’altezza e la fatica di non sentirsi parte del gruppo, ma con le condizioni favorevoli la situazione può trovare nuovi e più adeguati equilibri. Anche tra gli stessi compagni di squadra può nascere una sorta di competizione rispetto ai canestri o goal o punti segnati in partita, rispetto alle performance di difesa e velocità e molto altro. Queste dinamiche sono molto articolate e richiedono attenzione e capacità di gestirle nel modo sportivamente più corretto da parte, innanzitutto dell’allenatore. L’obiettivo irrinunciabile è fare quadra; sviluppare quel senso di appartenenza che infonde sicurezza, forza al singolo come al gruppo stesso. Un buon allenatore sa bene quanto questo sia importante nella scalata verso il successo. Una squadra che non è squadra sarà sempre imbrigliata da contese interne, fraintendimenti, conflitti spesso sommessi che impediscono il gioco di squadra e dissuadono continuamente dall’obiettivo (che diventerà irraggiungibile), con grande sofferenza e insoddisfazione da parte di tutte le parti coinvolte. Lavorare sul senso d’appartenenza alla squadra non è facile, ma si fa obiettivo prioritario. Tra l’altro è spesso uno degli obiettivi sui quali non si finisce mai di lavorare è come se non si riesce mai completamente a raggiungerlo (questo a maggior ragione nelle società sportive giovanili, dove il turn over dei ragazzi è elevatissimo; ragazzi che abbandonano, ragazzi che arrivano, ragazzi che si spostano da una società sportiva ad un’altra). 

Anche il rapporto con l’allenatore merita qualche parola. L’allenatore ha la facoltà di diventare figura educativa importantissima di riferimento, spesso al fianco se non prima, di quella genitoriale.  Questo accade soprattutto in epoca pre e adolescenziale, quando i conflitti figli- genitori si fanno anche molto aspri, spesso nutriti dal risentimento di non sentirsi capiti vicendevolmente. L’allenatore diventa quell’adulto al quale si può fare sempre riferimento, che incoraggia la passione sportiva del ragazzo che, riesce a consigliarlo anche relativamente alla vita, perché non soggiogato dai grovigli emotivi ambivalenti presenti nell’animo di noi genitori. Quella coerenza, sicurezza e riferimento che in un’età complessa come quella adolescenziale diventano requisiti- calamita per la costruzione equilibrata dell’identità (ancora in subbuglio) dei nostri figli.  Evidentemente questo rapporto elitario provoca non pochi conflitti e sensi di colpa in noi genitori che, spesso, ma per fortuna non sempre, sfociano in aperti scontri e ostilità (molto difficili da gestire, sia per i genitori, ancor di più per gli allenatori), dimenticandoci di guardare lontano, perdendo di vista l’obiettivo principe: nostro figlio e il suo bene.

DIMENSIONE MORALE

Sviluppare senso di appartenenza ad una squadra, presuppone automaticamente la tensione verso lo sviluppo di valori umani fondamentali, in quello che potremmo definire un versante etico-normativo. Giocare insieme significa “vedere” l’altro, non è possibile fare gioco di squadra ignorando la presenza dei compagni e nel fare questo, i nostri ragazzi iniziano a decentrare l’attenzione da sé (abbastanza fisiologica fino a sei anni circa), in una spirale centrifuga che si muove dal proprio io a quello dell’altro. Il terreno di gioco diventa palestra di vita, ove la convivenza civile, l’aggregazione e coesione sociale favoriscono il rispetto per l’altro, per la diversità, la tendenza implicita alla correttezza, all’ordine, al rispetto delle regole e alla disciplina che, inducono a ridurre la conflittualità e la tensione allo scontro. Appartenere ad una squadra significa riconoscersi come parte di qualcosa di più grande e i legami di amicizia che via, via si vanno a creare innescano un circolo virtuoso fatto di solidarietà, onestà, comprensione reciproca, gioia di esserci, gioia di vivere che alimentano quella che noi specialisti siamo soliti chiamare “intelligenza emotiva”; la capacità di entrare in contatto empatico con l’altro e nel fare questo captare e identificare meglio le proprie e altrui emozioni, i propri e altrui bisogni, stimolando immaginazione, creatività, sensibilità, rendendo gli atleti più consapevoli dell’esistenza di questa dimensione emotiva e degli strumenti per gestirla al meglio per approdare in quel benessere pico-emotivo tanto ambito.

SINTESI - OBIETTIVI RAGGIUNGIBILI ATTRAVERSO L’ATTIVITA’ SPORTIVA

  • Senso d’appartenenza
  • Convivenza civile
  • Aggregazione sociale e strategie di socializzazione
  • Ordine fisico e mentale
  • Coesione sociale e di gruppo, riducendo la potenziale conflittualità
  • Correttezza interpersonale
  • Rispetto delle norme: spirito di squadra, rispetto delle regole, disciplina, rispetto degli altri, educazione
  • Autocontrollo, tolleranza, elaborazione e gestione della frustrazione
  • Gioia di vivere ed entusiasmo
  • Senso d'uguaglianza
  • Forza e resistenza, resilienza
  • Onestà e lealtà, comprensione reciproca
  • Sviluppo armonico della persona, antidoto alla sedentarietà, conoscere e relazionarsi in modo armonico con il proprio corpo
  • Intelligenza emotiva
  • Liberarsi dalle tensioni in eccesso
  • Stimolare immaginazione e creatività, pensiero divergente
  • Assestamento dei rapporti familiari, elaborazione e superamento dei confilitti familiari

Oltre alla condizione fisica occorrono la voglia, la rabbia, la passione, la cattiveria agonistica, la felicità interiore, perché un atleta triste è un atleta che parte sconfitto.

Alessandro Del Piero

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